Digitale vs Virtuale
Dal 2009 al 2012 ho progettato e condotto laboratori creativi nell’ambito dell’educazione bilingue a Berlino. Digita_lab è un progetto che raccoglie alcuni esempi di percorsi laboratoriali presso kindergarten con bambini dai 4 ai 6 anni di età.
colors/light/movement /play dress/colors/light touch
Per la realizzazione di questo laboratorio di gioco con colori e suoni digitali è stata utilizzata una stanza completamente vuota con pavimento in legno, pareti bianche e indumenti e teli bianchi per i bambini. Per la riproduzione del materiale multimediale sono stati utilizzati dei pc e dei proiettori digitali e delle casse audio. Prima di iniziare i bambini si sono dipinti parti del corpo con colore bianco per la pelle.
Holger Lipmann, GER, software, Minimal Garden 2, 2008, excerpt. Lippmann’s style is characterized by minimalism. He uses reduced means to convey a poetic impression of natural occurences. His programming continuously changes the action.
Marius Watz, NO, software, Blocker (Giant Sands), sound by Alexander Rishaug, 2009, excerpt. This work emerged from a series of performances with composer and musician Alexander Rishaug, who provided the sound material. Based on this, Watz’ software processes the information to form an animation.
fonte: Wolf Lieser THE WORLD OF DIGITAL ART



Nero come principio primordiale. Il principio di tutti i principi avvolto nell’oscurità cromatica descritta come nero. E’ dal nero infatti che molte mitologie fanno nascere il cosmo e, dal punto di vista psicologico, le narrazioni cosmogoniche descrivono in forma allegorica l’emergere del conscio dal buio dell’inconscio. Uno stato oceanico dell’io che contiene in sè tutte le istanze personali (istinti, archetipi, pulsioni) ma in cui tutto è ancora indifferenziato. Esiste dunque un nero primordiale, onnicomprensivo che è archetipo del principio, un nulla che contiene in potenza il tutto. C. Widmann, Il simbolismo dei colori, edizioni magi
Mi piace pensare, ad esempio, alle teorie sul bing-bang che ipotizzano prima della grande espansione dell’universo un buio totale.
Lavorare con il nero, durante un percorso creativo legato alla fenomenologia del colore, significa dunque, partire dal principio nell’intento di generare quel vuoto che in potenza accoglierà tutto il resto. Nel mio lavoro laboratoriale, alla ricerca di continue connessioni fra reale e virtuale, non ho potuto fare a meno di pensare al nero come “Disk Operating System” meglio conosciuto come DOS. Era l’inizio degli anni 90 e io muovevo i miei primi passi all’interno del cyberspazio durante noiosissime lezioni di informatica tenute dalla professoressa di matematica che per un’ora la settimana si improvvisava programmatrice accompagnandoci a tentoni alla scoperta del nuovo linguaggio. Nessuno, compresa lei, all’interno dell’aula era capace di tradurre il significato misterioso di quei codici, ma la sensazione generale era quella di avere di fronte qualcosa di molto potente, il buio totale prima del bing-bang, qualcosa che sarebbe stato in grado di contenere il tutto, almeno in potenza. Per fortuna arrivò presto una tecnologia sempre più opaca e nessuno di noi dovette più preoccuparsi dell’intraducibilità de DOS. Nel frattempo a casa un C64 instancabile esaudiva ogni mio desiderio videoludico immergendomi in neri profondi (ma non troppo) dal quale prendevano vita nuovi mondi, e la mia piccola identità bambina si preparava alla migrazione.
Black of Cosmos black of DOS – è il nome di un laboratorio svolto con bambini dai 3 ai 6 anni presso l’atelier artistico di un Kindergarten in Anklamer Strasse Berlino-Mitte. L’idea di base (che spesso caratterizza le mie proposte) è quella è quella dell’abbinamento di due attività parallele: il rapporto diretto con i materiali e la fruizione di medium virtuali-in questo caso il medium voideoludico, dei platform anni 80 riprodotti grazie ad un emulatore MAME per OSX di mac-. I bambini hanno alternato le due esperienze con quella naturale dimestichezza che li contraddistingue. Ciò che è stato curioso osservare è come non vi sia stata prevaricazione di un medium sull’altro. Le due esperienze con il nero non si sono sostituite ma hanno funzionato entrambe, fino alla fine, suscitando il medesimo interesse.
Un oceano virtuale a Berlino
“Percepiamo il mare soprattutto come una sostanza in cui immergerci. Dal sentimento oceanico di Freud- la nostalgia umana per la perduta comunione con la natura madre acquatica- alle immersioni contemplative di Jacques Cousteau e alla sua riverenza per il regno subacqueo, la cultura europea e americana è piena di immagini del mare come zona i cui confini tra l’io e il mondo si dissolvono. E, in effetti, qualche presenza totale e non mediata nelle profondità marine è divenuta un latore di segnali per l’oceanografia. Gli scienziati di settore sono passati dal dragaggio coi secchi alla mappatura del fondale marino con il sonar fino all’impiego attuale di robot comandati a distanza e sommergibili con presenza umana che riportano dei ritratti vivi del mondo sotto la superficie dell’acqua. Queste tecnologie fanno molto più che fornire informazioni. Come ha sottolineato l’antropologo Charles Goodwin, gli scienziati incontrano il mare attraverso una fitta boscaglia di apparecchi tecnologici che arrivano impacchettati con una serie di relazioni sociali-relazioni spesso intessute già nella struttura delle stesse navi di ricerca…Gli scienziati non si vedono tanto alle prese con una percezione a distanza quanto con una percezione interiore.” Percezioni interiori, Stefan Helmreich
E’ il filtro digitale attraverso cui oggi osserviamo l’esistenza di un oceano virtuale che paradossalmente ci permette una conoscenza più approfondita del mare vero. Proprio alla luce di queste riflessioni nasce l’dea del laboratorio multimediale svolto in un Kindergarten di Alt-Moabit, a Berlino a giugno del 2012. Far nuotare i bambini in un mare digitale è stato solo una parte dello sviluppo di un progetto più ampio che ha compreso tanti tipi diversi di laboratori sul tema di una fiaba che aveva a che fare con i pesci e l’Africa, nella fiaba non si parlava di mare ma di un grande fiume, ma ai bambini è stata l’idea dell’acqua come elemento di per se a interessare di più, e ben presto il fiume è diventato oceano e l’oceano profondità acquatiche in cui giocare. In quel periodo alla DAM gallery di Berlino c’era la personale di Joan Leandre con la serie In the Name of Kernel!, evocazione intensa della natura degli elementi, questo mi ha fatto pensare alla natura, nella sua essenza, analizzata attraverso il filtro del virtuale. In occasione della mostra ho acquistato il libro The world of digital era, raccolta di opere e artisti a cura di Wolf Lieser contenente un DVD con una serie di video fra cui l’opera Wave di Mark Napier. Questa rappresentazione dinamica ma non troppo dirompente del mare è stata perfetta per i bambini. Abbiamo creato all’interno del Kindergarten una stanza per la completa immersione nell’oceano virtuale dove i pesci bambini potevano muoversi liberamente e nuotare fra i riflessi di luce azzurra.
Per il finale della fiaba abbiamo fatto una gita di un giorno al Britzer Garten e i bambini hanno giocato in un laghetto in mezzo agli alberi. Questo perchè l’elemento acqua virtuale non sostituisce quella di un lago vero, genera semplicemente due esperienze differenti. Concludo con le parole, in questo caso davvero appropriate, di Sherry Turkle di introduzione al testo Il disagio della simulazione Ledizioni 2011.
Spesso racconto la storia di Rebecca che a otto anni veleggiava con me su un mediterraneo azzurro da cartolina gridando – Guarda mamma, una medusa! Sembra così vera!- comparando quella vista nel mare con quella che spesso appariva sullo schermo del computer di casa nella simulazione delle creature marine. Per Rebecca e i suoi amici la simulazione è una seconda natura. Ho voluto scrivere un libro che la facesse sembrare meno reale, cercando di ricordare loro che essa porta con sé nuovo modo per vedere le cose ma anche per dimenticarle.