Ultimamente si leggono spesso sui giornali dibattiti sul tema dell’inclusione dei libri elettronici all’interno della riforma della scuola, di come sostenere gli eventuali costi e di quanto sia più o meno urgente chiudere, su tale argomento, un certo gap con il resto d’europa e l’opinione pubblica si divide. Occupandomi da diversi anni di utilizzo positivo e critico dei nuovi media la mia posizione a riguardo è difficilmente schierata da una parte o dall’altra. La tecnologizzazione degli strumenti scolastici fa parte anch’essa di un processo di attualizzazione e virtualizzazione che sta avvenendo in ogni altro campo sociale e, ben conscia del fatto che, medium e contenuto coincidano, credo sia estremamente necessario che tale processo venga accompagnato e sostenuto da sperimentazione e ricerca sulle modalità di utilizzo e sull’impatto che tale processo avrà sulle nuove generazioni.
Si parla oggi di nativi digitali come di quelle generazioni nate dopo il world wide web e dunque capaci di una dimestichezza innata con i nuovi media. Generazioni che guardano a noi, migranti digitali, con in mano una verità indiscussa sul mondo virtuale e padrone di un linguaggio nuovo e nuovi paradigmi.
Durante i laboratori e gli incontri che orgaznizzo nelle scuole primarie ammetto di percepire, da parte di coloro che consideriamo appunto nativi digitali, un estremo bisogno di un’adeguata chiave di lettura, un quadro di riferimento, la traducibilità di un linguaggio altrimenti inafferrabile. Di fatto trovo insensato pensare che le nuove generazioni siano esperte di linguaggi digitali esclusivamente perchè tali linguaggi esistevano già al momento della loro nascita. Sappiamo bene quanto sia stata rapida la crescita esponenziale assunta dal progresso nell’ultimo ventennio, assai più veloce dei cambi generazionali e dunque della consegna dei saperi attraverso l’esperienza.
Un buon utilizzo dei nuovi media di informazione, comunicazione e simulazione (il web, i socialnetwork e i videogame) non corrispondono per forza ad loro utilizzo consapevole. Si può essere buoni giocatori di videogame senza aver sviluppato alcuna capacità di filtrare i valori e i disvalori che essi portano con se. Si può essere esperti consumatori di software creativi senza possedere gli strumenti adeguati per cogliere la differenza fra uno stimolo ai sensi virtuale o reale. Durante un laboratorio di disegno presso una scuola materna ricordo la sorpresa generale nell’osservare le dità di una bambina scorrere lungo il foglio nel tentativo di ingrandire un segno tracciato con un pennarello. Utilizzare un foglio da disegno come un touch screen significa non aver sviluppato completamente la consapevolezza di ciò che è reale e ciò che è virtuale.
Quello fra immaginazione e realtà può essere un limite ancora incerto durante la prima infanzia, il gioco e le esperienze sensoriali sono essenziali per il bambino per tracciare dei confini sicuri per crescere. La nascita di un mondo virtuale ormai onnipresente nelle nostre esistenze ha portato le nuove generazione a doversi confrontare con un’ulteriore dimensione, che ha preso forma in una zona liminale, fra la realtà e l’immaginazione, dove è data la possibilità di sperimentare ed agire senza conseguenze, annullare gli errori e riformulare le cause e gli effetti.
E’ proprio sulla base di tale confronto, quello fra mondo virtuale e mondo reale, che nasce il metodo dei laboratori intermediali, attuo a scoprire e sperimentare i diversi medium e l’oggetto materiale-immateriale con particolare attenzione all’esperienza sensoriale.
LA SCUOLA SECONDARIA